il manifesto del 19 dicembre 2001
Non
ci resta che piangere
Testimoni di queste violenze, che
non hanno fine, anche noi chiuderemo gli occhi come fecero i
contadini polacchi davanti ai campi di sterminio?
DANIEL AMIT
Il grido d'allarme di Zvi Schuldiner
(il manifesto del 16 dicembre),
per l'inferno dispiegatosi in Palestina, dovrebbe scuoterci
tutti, forse lo ha fatto. Ma di fronte a un nuovo mondo, di
paure e di violenze senza confini e fuori da qualsiasi controllo
di civiltà, ognuno di noi scorge nello sguardo dell'altro un
miscuglio di rabbia, frustrazione e disperazione. Sembra che per
la prima volta stiamo sperimentando la nuda possibilità che,
anche di fronte al peggio, all'ultimo peggio, rimarremmo senza
risposta, senza rimedio, senza nessuna forza morale,
intellettuale, politica. E succede proprio a noi che ancora
portiamo, personalmente o collettivamente, la memoria del male
assoluto: la seconda guerra mondiale e l'Olocausto.
Schuldiner ha perfettamente ragione quando insiste che il
problema della regressione politico-morale non è limitato al
Medio Oriente, ma è diventato una componente integrale del mondo
"globalizzante", forse già "globalizzato", e la cui
globalizzazione implica la supremazia incontestata dei "valori"
statunitensi, senza nessun contrappeso di civiltà: un dilagare
dei valori della vendetta, del machismo militar-culturale, della
mistificazione della propria violenza e della negazione
dell'umanità dell'altro. Peggio dell'incubo "1984" di Orwell. Il
Medio Oriente non è che un fumetto inciso su un grano di riso,
un microcosmo della situazione mondiale che si sta dispiegando
davanti ai nostri occhi e alle nostre coscienze.
E su questo mini schermo la situazione è talmente straziante che
l'assenza di qualsiasi opposizione correttiva rende la vita
insopportabile, in primo luogo a una generazione abituata alla
mobilitazione, alla lotta politica effettiva, per rendere
veritiero lo slogan "mai più".
Questi ultimi 12 anni che portano sempre di più la
consapevolezza dell'irrilevanza della coscienza, dell'ideologia
politico-morale della sinistra. Questa frustrazione ci rende
vulnerabili a delle miopie. Approfittiamo perlomeno di questo
limbo per mantenere le idee chiare.
Il problema nel Medio Oriente, in Palestina, non si riassume in
un conflitto insolubile tra due fondamentalismi religiosi
(suicidi), tra due bande di estremisti marginali (sanguinari).
Il problema principale era e rimane l'occupazione, e la sua
figlia: la colonizzazione. Nessuna delle due nasce
dall'estremismo religioso, ed entrambe sono state sostenute e
nutrite dalla sinistra (centro-sinistra) e dalla destra (né
Rabin né Peres hanno mai negato la loro legittimità e non vi si
sono mai opposti, se non ponendoli come oggetto di trattative o
di compromesso).
La crescita di Hamas nei Territori occupati è un fenomeno
profondamente legato all'occupazione stessa. Negli anni
settanta, mentre il movimento palestinese virava le sue
posizioni politiche in modo da permettere una risposta allo
stesso tempo nazionalista e possibilista (1974), il governo
militare israeliano ha esiliato tutti i leader del Fronte
nazionale palestinese, formatosi in Palestina dopo le
risoluzioni del consiglio del Cairo, (impegnato a favore delle
risoluzioni Onu 424 e 338). Le moschee sono rimaste l'unico
luogo lecito per l'attività politica.
Quando ci troviamo sconvolti dalle operazioni di terrorismo
suicida, spesso lo sgomento ci porta alla conclusione (un po'
razzista) che quella musulmana sia una civiltà talmente lontana,
che cercare soluzioni per questo conflitto sia ormai inutile.
Bisogna ricordare invece che 10-15 anni fa, non esistevano
fenomeni di questo tipo. Non ci rimane che concludere che anche
questa deviazione umana va attribuita all'occupazione stessa,
che una generazione che ha passato la sua intera vita sotto
l'occupazione, ne è uscita distorta (teniamo anche presente,
come ci ricorda Schuldiner, che uno dei primi atti di terrorismo
suicida è stato di un ebreo occidentale: Goldstein, nella grotta
dei patriarchi).
Tutto questo ci dovrebbe portare alla conclusione che anche
davanti a una catena di violenze reciproche in Palestina non c'è
nessuna simmetria morale-politica tra l'estremismo colonizzatore
israeliano e l'estremismo palestinese. Il primo andrebbe
controllato dallo stato di Israele e dalla comunità
internazionale a cui Israele pretende di appartenere; il secondo
andrebbe invece messo sotto controllo da uno stato sovrano
palestinese con gli strumenti repressivi che caratterizzano tale
istituzione. Invece, siamo testimoni di un processo inverso: i
coloni israeliani dettano la politica israeliana, e quest'ultima
sta distruggendo l'apparato palestinese che avrebbe potuto
(anche in anticipazione di uno stato) cercare di ridurre il
livello di violenza.
Parole, parole, parole direbbe Shakespeare, invece non ci resta
che piangere. E non è un piangere solo per la Palestina; sarà un
piangere per l'incapacità di opporsi alla violenza prepotente in
tutto il mondo la quale si permette, alla luce del giorno, di
violare tutti i valori di cui qualsiasi società dotata di una
civiltà giuridica si dovrebbe vantare.
Per anni ci siamo chiesti come mai un popolo che ha subito la
Shoa possa esercitare un'oppressione su di un altro popolo con
tutta la crudeltà, l'umiliazione, le torture, i sequestri,
l'espulsione, le uccisioni che l'occupazione implica. Non
abbiamo trovato una buona risposta. Ma ora si presenta una nuova
domanda tremenda: noi, i testimoni di queste violenze
ingiustificate e ingiustificabili, equivalenti ognuna a un
genocidio, saremmo giudicati come i contadini polacchi, che si
presume sapessero cosa perpetravano i nazisti accanto ai loro
villaggi? Certo, l'occupazione israeliana della Palestina non ha
ancora raggiunto questi eccessi, però ha ormai superato
qualsiasi incubo a noi permesso. E quando avverrà
l'inconcepibile massacro e/o espulsione di massa che osa
immaginare Schuldiner, a chi ci rivolgeremo?
il manifesto del 16 dicembre 2001
ZVI SCHULDINER
Che fare: gridare,
urlare, scrivere o lasciare queste righe bianche visto che le
parole non bastano per descrivere ciò che sta accadendo qui, in
questi giorni, con questo sangue, con tante vite spezzate, con
tante menzogne insanguinate, con tanti crimini e criminali e con
tanti signori perbene e importanti che tacciono?
Fino a poche settimane fa esisteva l'illusione del giudizio
internazionale che poneva freni ai disegni criminali del governo
di Ariel Sharon e dei suoi alleati. Ma dopo le ultime
provocazioni terroristiche di Hamas e della Jihad islamica,
anche il cowboy texano di Washington ha cominciato a avallare i
disegni di Sharon. E gli europei, come fedeli seguaci assordati
dal rumore dei bombardamenti in Afghanistan, cominciano a
dimenticare che in alcune occasioni sono serviti a equilibrare
leggermente lo squilibrio infernale del Medioriente.
A New York, nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, gli Stati uniti
hanno imposto il veto a una risoluzione moderata proposta da
Egitto e Tunisia, che condannava il terrorismo contro i civili
ma chiedeva anche l'invio di una forza internazionale per
proteggere la popolazione palestinese. Veto americano,
astensione britannica e dodici voti a favore. Risultato: nulla
di fatto.
Forse nessuno capisce che la politica della vendetta chiama la
vendetta? Forse Sharon e i suoi ministri non capiscono le
conseguenze delle loro sproporzionate reazioni a atti
condannabili che non saranno evitati o eliminati con il
terrorismo di stato? E' certo che c'è molta imbecillità nella
storia e i leder hanno portato i loro popoli a grandi disastri.
Queste mie parole non sono dettate solo dalla "preoccupazione
per i diritti palestinesi". Semplicemente, non so in quale
abisso o disastro porta noi, israeliani, la politica criminale
dei nostri leader.
Il problema non è la comprensione dell'imbecillità. Dietro la
politica bellicista di questi giorni si nascondono piani che
possono portare a disastri mostruosi. L'escalation degli scontri
armati può essere il miglior passaggio ad una generalizzazione
della guerra. Una guerra a cui l'estrema destra israeliana non
si opporrà, visto che serve al raggiungimento dei suoi veri
obiettivi.
Ancora una volta occorre tornare ad alcune delle diverse
valutazioni del processo storico avviato a Oslo. Gli accordi di
Oslo - pieni di problemi e difetti - sono stati visti dalla
destra israeliana come una sconfitta, un disastro rispetto agli
obiettivi della destra nazionalista e dei fondamentalisti, che
vedevano come risultato supremo l'annessione dei territori
occupati nel 1967. La realizzazione del sogno di Eretz Israel
rappresenta per qualcuno una necessità in materia di sicurezza,
per altri un principio fondamentalista legato alla promessa
divina.
Per il fondamentalismo islamico e ambienti attigui, la sconfitta
assume aspetti simili. Il compromesso storico tra israeliani e
palestinesi significava la fine dei sogni di redenzione della
terra della Palestina tutta e del raggiungimento dell'obiettivo
sacro di liquidare Israele e espellere gli ebrei che contaminano
la Terra santa. Entrambe le "sconfitte" sono la chiave per
capire la linea politica dei diversi componenti del "fronte del
rifiuto" in entrambi i popoli. L'estrema destra israeliana e i
coloni dei territori stendono una mano virtuale alla vera
controparte, i fondamentalisti islamici. Entrambi sono
accomunati da un unico obiettivo: portare a una escalation che
permetta di eliminare la presenza dell'altro.
Oggi, in tutto l'occidente, la manipolazione del terribile
attacco di settembre a New York è il pretesto per la enorme
demonizzazione dell'islam, degli arabi e fondamentalmente di
tutti coloro che si oppongono a tentativi "modernizzanti e
democratizzanti" degli americani.
Non importa se in nome di una grande democrazia o di singoli
valori dell'occidente si assassinano migliaia di persone a
Panama per prendere un ex agente della Cia, o centinaia di
migliaia in Iraq, quando Saddam non obbedisce in tutto - o non
ha compreso i limiti - e ha smesso di uccidere enormi quantità
di soldati del "minaccioso mostro iraniano", o milioni in
Vietnam o Cambogia. E la lista è lunga. Non importa se due mesi
prima dell'attacco di New York, gli americani cercavano di
convincere i taleban - protettori dell'ex agente americano bin
Laden - a rendere possibile la realizzazione di enormi accordi
petroliferi. E gli europei come pecoroni seguono ciecamente la
direzione dettata da Washington dal nuovo "Bruce
Willis-Schwarzenegger", il supermacho degli interessi
petroliferi.
E' il momento ideale per Israele! Tutti tacciono, non importano
i crimini commessi. Cinque bambini assassinati, oppure due
bambini assassinati, o "terroristi" liquidati con il democratico
sistema della giustizia sommaria. E altri che muoiono "per
errore", le nostre scuse signori. Altre case distrutte, altri
campi spianati, e bambini che nascono e muoiono ai posti di
blocco militari. Errori, scuse, errori, scuse, ma naturalmente
si deve comprendere che tutto questo non avviene per malvagità
ma solo per combattere i terroristi, il terrorismo, i cattivi.
Capiscano gli europei e gli americani, noi stiamo combattendo la
stessa campagna. Tutti ci stiamo difendendo dal mostruoso nemico
e solo le malelingue, i traditori, i dogmatici si oppongono alla
sacrosanta lotta a favore dei valori sacri che accomunano tutti
noi, uomini del bene. Di fronte ai barbari. Guardate i barbari.
Temete i barbari. I barbari ci minacciano tutti, noi e voi allo
stesso modo, signori perbene dell'occidente. Difendiamoci.
Difendiamo i nostri valori sacrosanti, i valori dell'occidente
democratico e moderno. Morte ai barbari.
Tutti i meccanismi psicologici, storici e di propaganda sono al
servizio della giustizia, per il rifiuto e l'oblio. Per questo è
così facile dimenticare il nostro grande kamikaze, Baruch
Goldstein, che nel 1994 assassina 29 palestinesi e sacrifica la
vita nell'azione destinata a evitare il tradimento di Oslo, il
disastro di Oslo, la consegna della terra.
La destra israeliana vive questi giorni con non poca
ambivalenza. Un anno di intifada ha comportato una caduta nel
morale di non pochi coloni. Alcuni hanno abbandonato gli
insediamenti nei Territori occupati, altri progettano di farlo
nel futuro prossimo. Ma allo stesso tempo, questa è la grande
opportunità di recuperare la temporanea sconfitta di Oslo.
L'escalation non è un caso. La politica del governo non è così
scriteriata, se si analizza la sua logica, che è la logica della
guerra e del consolidamento dell'occupazione. Per annullare i
trattati di Oslo è necessario arrivare alla delegittimazione
dell'Autorità palestinese. Liquidare o esiliare Arafat è lo
stesso, la cosa necessaria è trasformare ogni palestinese in un
nemico.
Persino in questi giorni, poche centinaia di pacifisti
israeliani continuano il dialogo con diversi settori
dell'opinione pubblica palestinese. Ma sono una goccia nel mare
della violenza prodotta dal governo israeliano. La voce del
dialogo possibile non si sente quasi più.
L'escalation è resa possibile dall'avallo americano alle azioni
del governo di Sharon. Ma le violenze del vecchio generale
cominciano a tingersi di colori tanto esagerati e criminali che
persino chi in Europa è stato zitto negli ultimi giorni, dando
così una mano alla politica israeliana, comincia a capire che il
governo israeliano accompagna tutti quanti verso una polveriera
in esplosione.
L'escalation può portare non solo all'annullamento formale dei
malconci accordi di Oslo. La catena di sangue conduce verso una
possibilità che sembrava dimenticata e che torna invece attuale:
ritorna il fantasma dell'espulsione in massa dei palestinesi,
ritorna reale e presente in questi giorni di sangue. Nel fragore
delle battaglie, davanti al "fantasma del terrore", con il buon
esempio americano, con il doveroso orrore di quanti giustamente
inorridiscono quando israeliani vengono uccisi in atti di
terrore criminale (e si dimenticano di inorridire quando si
uccidono palestinesi in atti di controterrore di stato), in
questo ambiente diventerà ogni volta più facile e pericoloso il
raggiungimento di alcuni dei disegni dell'ultradestra
israeliana. Con il modo esemplare e orgoglioso con cui
l'occidente liberatore si conduce, quale difficoltà presenta
l'espulsione di alcune decine o centinaia di migliaia di
palestinesi? Viviamo in giorni in cui milioni di rifugiati ci
sembrano un sottoprodotto necessario e nemmeno troppo costoso
della lotta per i grandi valori dell'occidente.
Sì, il veto americano di ieri. In queste ore, solo un
contingente internazionale urgente e assolutamente necessario,
composto anche di forze europee, può essere l'ultimo freno al
processo che si cova in queste terre, sotto la copertura della
crociata bellicista americana da Tora Bora a Bagdad. Quanti
hanno avidamente inviato tante truppe verso tante guerre piene
di dubbi, dal Kosovo all'Afghanistan, possono ora unire le forze
per cercare di evitare una nuova tragedia, prima che sia troppo
tardi. Non si tratta di portare le colpe di Sharon davanti ad
alcun tribunale futuro. Si tratta di frenare lui, il suo governo
e i suoi disegni, prima che completino la loro politica
espansionista.