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Livello di concentrazione
dell’Anidride Carbonica: CO2 nell’aria.
Aggiornato regolarmente
(Earth System Research Laboratory - NOAA)


Emergenza climatica!



Questa sezione si svilupperà nel tempo, perché è indispensabile che tutti, studenti e non, abbiano a disposizione alcuni strumenti con cui affrontare il grande tema del presente, quello da cui dipenderà il futuro dell’umanità, il RISCALDAMENTO GLOBALE.




INDICE: 1) W.J. Ripple et al., Allarme di Emergenza Climatica da parte di Scienziati di tutto il mondo; 2) Aggiornamento W.J. Ripple et al., Allarme di Emergenza Climatica da Scienziati di tutto il mondo 2021; 3) Vandana Shiva, La “Gaia” terra, madre di tutte le grandi battaglie; 4) Joachim Faulstich, CRASH 2030 - Rapporto di inchiesta su una catastrofe”, un film del 1994; 5) Stella Levantesi e Giulio Corsi, Il “realismo” climatico è il nuovo negazionismo; 6) Stefano Mancuso al Teatro Piccolo di Milano, il 21 luglio 2021: “Bisogna piantare 1000 miliardi di alberi! — con un’Appendice (video di animazione TED), che precisa il senso del messaggio “Piantare 1000 miliardi di alberi”.




1) Cominciamo con l’articolo citato nella home-page, molto utile per la sua chiarezza ed efficacia:
      W.J. Ripple, C. Wolf, T.M. Newsome, P. Barnard e W.R. Moomaw (Oxford Univ. Press, Bioscience, 5 novembre 2019) -
      “Allarme di Emergenza Climatica da parte di Scienziati di tutto il mondo”

Questa che trovate nel file PDF è la traduzione italiana dell’articolo, completa di figure ed allegato.

(Una traduzione di questo articolo è stata pubblicata anche dal sito climalteranti.)

Le due figure sono la parte essenziale dell’articolo e possono essere comprese abbastanza facilmente, per cui si rivolge un caldo invito a dedicare un po’ di tempo a esaminarle subito (sull’asse orizzontale, per tutti i riquadri, ci sono gli anni dal 1980 al 2020 - le didascalie sono nell’Allegato S2 del file PDF di sopra).
Esse riguardano gli indicatori menzionati all’inizio dell’articolo e sono una sintesi efficace delle osservazioni e conoscenze scientifiche fino al 2019, le quali (va ricordato) sono state meticolosamente riportate, sviluppate e sintetizzate nel corso di oltre 30 anni dall’Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC, che è l’organismo delle Nazioni Unite fondato allo scopo di valutare la ricerca scientifica in tutto il mondo nel campo del Riscaldamento Globale e del Cambiamento Climatico.
Le figure e la parte principale dell’articolo sono pubblicate qui sotto.




Figura 1



Figura 2


    Gli scienziati hanno l’obbligo morale di avvertire l’umanità con chiarezza di ogni minaccia di catastrofe e di “dire le cose così come stanno”. Adempiendo a tale responsabilità e sulla base di una serie di indicatori che mostriamo di seguito, noi, e con noi più di 11.000 altri scienziati di ogni parte del mondo che hanno aggiunto la loro firma al nostro lavoro, dichiariamo in modo chiaro e inequivocabile che il pianeta Terra è in emergenza climatica.

Esattamente 40 anni fa, scienziati di 50 nazioni s’incontrarono alla Prima Conferenza Mondiale sul Clima (a Ginevra nel 1979) e concordarono che segnali allarmanti di un cambiamento del clima rendevano necessario l’agire con urgenza. Da allora, allarmi simili sono stati lanciati con il Vertice di Rio del 1992, il Protocollo di Kyoto del 1997, e l’Accordo di Parigi del 2015, così come in occasione di vari altri incontri internazionali ed è stato anche esplicitamente dichiarato, da parte di alcuni scienziati, che gli interventi messi in opera erano insufficienti (Ripple et al. 2017). Ciononostante, le emissioni di Gas Serra (GS) continuano a crescere velocemente, con effetti sempre più dannosi per il clima della Terra. È necessario aumentare enormemente gli sforzi per conservare la nostra biosfera al fine di evitare le incalcolabili sofferenze conseguenti alla crisi climatica (IPCC 2018).

La maggior parte del dibattito pubblico sul cambiamento climatico si basa soltanto sulla temperatura media alla superficie della terra, che è un aspetto non adeguato a cogliere la portata delle attività umane e i pericoli reali derivanti dal riscaldamento del pianeta (Briggs et al. 2015). È oggi urgentemente necessario che i decisori politici e il pubblico abbiano accesso a un insieme d’indicatori che mostrino gli effetti delle attività umane sulle emissioni di GS e i conseguenti impatti sul clima, sull’ambiente e sulla società. Sviluppando il nostro precedente lavoro (vedi l’Allegato S2), presentiamo una serie di rappresentazioni grafiche dei cambiamenti, avvenuti nell’arco degli ultimi 40 anni, relativi ad attività umane che possono influenzare le emissioni di GS e cambiare il clima (figura 1), e poi presentiamo una serie di grafici relativi ad indicatori diretti del cambiamento climatico (figura 2). Abbiamo utilizzato soltanto insiemi rilevanti di dati che siano chiari, comprensibili, raccolti sistematicamente almeno negli ultimi 5 anni ed aggiornati almeno annualmente.

La crisi climatica è strettamente correlata all’eccessivo consumismo dello stile di vita opulento. I paesi più ricchi sono i principali responsabili delle emissioni di GS su un arco storico di tempo e in generale registrano le maggiori emissioni pro capite (tabella S1). In quest’articolo, mostriamo tendenze generali, prevalentemente a una scala globale, mentre è vero che ci sono molti sforzi [per contrastare il cambiamento climatico, ndt] a livello di singole regioni e paesi. I nostri indicatori “vitali” sono concepiti per essere utili al grande pubblico, ai decisori politici, al mondo degli affari, così come a quelli che lavorano per rendere effettivi l’accordo sul clima di Parigi, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite e gli Obiettivi di Aichi sulla Biodiversità (www.cbd.int/sp/targets/, ndt).

Tra quelli relativi ad attività umane sono indicatori molto preoccupanti la crescita sostenuta della popolazione umana e di quella del bestiame ruminante, della produzione di carne pro capite e del prodotto interno lordo mondiale, l’aumento della perdita di copertura arborea globale e del consumo di combustibile fossile, del numero di passeggeri dei trasporti aerei, delle emissioni globali di anidride carbonica (CO2) e delle emissioni pro capite di CO2 dal 2000 (figura 1 e Allegato S2). Indicatori incoraggianti, invece, riguardano la diminuzione dei tassi globali di fertilità (nascite) (figura 1b) e della perdita di foreste dell’Amazonia brasiliana (figura 1g), l’aumento dei consumi di energia solare ed eolica (figura 1h), il disinvestimento governativo di oltre sette mila miliardi di dollari nei combustibili fossili (figura 1j) e l’incremento della frazione di emissioni di GS coperte da carbon pricing (figura 1m). Tuttavia, la decrescita nel tasso di fertilità umana ha mostrato sostanzialmente un rallentamento negli ultimi 20 anni (figura 1b), e il tasso di perdita di foreste nell’Amazonia brasiliana ha appena iniziato a crescere di nuovo (figura 1g). Il consumo di energia solare ed eolica è aumentato del 373% per decennio, ma nel 2018 esso era ancora 28 volte inferiore al consumo di combustibile fossile (mettendo insieme gas, carbone e petrolio; figura 1h). Sempre nel 2018, circa il 14.0% delle emissioni globali di GS erano coperte da carbon pricing (figura 1m), ma la media pesata sulle emissioni globali della tassa per tonnellata di anidride carbonica era soltanto ad un valore di 15.25 dollari (figura 1n). C’è bisogno di una tassa molto più alta (IPCC 2018, sezione 2.5.2.1). I sussidi annui per il combustibile fossile, che sono elargiti alle compagnie del settore energetico, hanno subito fluttuazioni e, a causa di un recente picco, nel 2018 essi sono stati superiori ai 400 miliardi di dollari (figura 1o).

Particolarmente preoccupanti sono i concomitanti andamenti negli indicatori vitali degli impatti climatici (figura 2 e Allegato S2). Tre abbondanti gas serra atmosferici (anidride carbonica CO2, metano CH4 e protossido di azoto N2O) continuano ad aumentare (vedi le figure 2a−2c e S1, con un infausto picco per la CO2 nel 2019), come fa anche la temperatura superficiale globale (figura 2d). A livello globale, le superfici ghiacciate sono andate rapidamente scomparendo, com’è evidenziato dagli andamenti decrescenti della superficie ghiacciata minima estiva del Mare Artico, della calotta glaciale della Groenlandia e dell’Antartico, e altresì dello spessore dei ghiacciai ovunque nel mondo (figure 2e−2h). Il contenuto di calore degli oceani, l’acidità degli oceani, il livello del mare, le aree incendiate negli Stati Uniti e gli eventi meteorologici estremi; e i costi dei danni conseguenti hanno tutti mostrato un andamento verso l’alto (figure 2i−2n). Si prevede che il cambiamento climatico inciderà estesamente sulla vita marina, d’acqua dolce e terrestre, dal plancton e i coralli ai pesci e alle foreste (IPCC 2018, 2019). Questi fatti mostrano con chiarezza la necessità di agire con urgenza.

Nonostante 40 anni di negoziati sul clima, con poche eccezioni, noi abbiamo continuato in generale a comportarci come se nulla fosse (“business as usual”) e siamo stati largamente incapaci di affrontare questa crisi (figura 1). La crisi climatica è sopraggiunta e sta accelerando più di quanto la maggior parte degli scienziati si aspettasse (figura 2, IPCC 2018). È più grave di quanto previsto e minaccia gli ecosistemi naturali e la sopravvivenza dell’umanità (IPCC 2019). Specialmente preoccupante è l’evenienza di punti di svolta climatici potenzialmente irreversibili e di retroazioni (feedback) naturali negative (atmosferiche, marine e terrestri), che potrebbero condurre la Terra ad un catastrofico scenario di “pianeta Serra”, ben oltre la possibilità di controllo da parte degli esseri umani (Steffen et al. 2018). Queste reazioni a catena climatiche potrebbero causare significativi sconvolgimenti negli ecosistemi, nella società e nelle economie, rendendo ampie regioni della Terra potenzialmente inabitabili.

Per assicurare un futuro sostenibile dobbiamo cambiare lo stile di vita, in modo da migliorare gli indicatori vitali sintetizzati dai nostri grafici. La crescita economica e quella della popolazione sono tra i più importanti motori di aumento delle emissioni di CO2 a causa dell’uso di combustibile fossile (Pachauri et al. 2014, Bongaarts e O’Neill 2018); perciò, abbiamo bisogno di robuste e drastiche trasformazioni nelle politiche economiche e demografiche. Noi suggeriamo (non in un ordine particolare) sei strategie d’importanza critica e correlate tra loro che i governanti, gli operatori degli affari e il resto dell’umanità possono adottare per ridurre gli effetti peggiori del cambiamento climatico. Questi sono passi importanti ma non sono le sole azioni possibili o necessarie (Pachauri et al. 2014, IPCC 2018, 2019).

Energia
Nel mondo si devono adottare rapidamente diffuse pratiche che rispondano a criteri di efficienza e di risparmio energetici e si devono sostituire i combustibili fossili con fonti rinnovabili (a basso contenuto di carbonio – figura 1h) e altre fonti d’energia più pulite in quanto a sicurezza per le persone e per l’ambiente (figura S2). Dovremmo lasciare le riserve residue di combustibili fossili nel sottosuolo (vedi la tempistica indicata in IPCC 2018) e dovremmo scrupolosamente applicarci a ottenere emissioni effettive “di segno negativo”, utilizzando tecnologie di rimozione del carbonio dalle emissioni delle centrali elettriche e di cattura di anidride carbonica dall’atmosfera e, in special modo, incrementando e potenziando i sistemi naturali (vedi il paragrafo Natura). I paesi più ricchi devono aiutare i paesi più poveri nell’abbandonare i combustibili fossili. Dobbiamo immediatamente eliminare i sussidi a favore dei combustibili fossili (figura 1o) e, per ridurne piuttosto l’uso, dobbiamo introdurre efficaci e giuste politiche per aumentare costantemente le tasse sul carbonio.

Inquinanti di breve durata
Dobbiamo ridurre immediatamente le emissioni d’inquinanti di breve durata dannosi per il clima, come il metano (figura 2b), la fuliggine e gli idrofluorocarburi (HFC). Facendo questo si possono rallentare i meccanismi di retroazione (feedback) e ridurre potenzialmente del 50%, entro pochi decenni, la tendenza al riscaldamento a breve termine, salvando milioni di vite e incrementando la resa dei raccolti in seguito alla riduzione dell’inquinamento dell’atmosfera (Shindell et al. 2017). L’emendamento di Kigali del 2016 (al Protocollo di Montreal, ndt) per ridurre gli HFC è benvenuto.

Natura
Dobbiamo proteggere e ripristinare gli ecosistemi della Terra. Il fitoplancton, le barriere coralline, le foreste, le savane, le praterie, le paludi (zone umide), le torbiere, le campagne, le mangrovie e la vegetazione marina contribuiscono grandemente a sequestrare la CO2 dall’atmosfera. Le piante, gli animali e i microrganismi marini e terrestri giocano ruoli rilevanti nel ciclo e nell’immagazzinamento delle sostanze nutritive e del carbonio. È necessario ridurre rapidamente la distruzione di habitat e di biodiversità (figure 1f−1g), proteggendo le residue foreste primarie e intatte, specialmente quelle con elevate riserve di carbonio, e altre foreste capaci di assorbire il carbonio rapidamente (“proforestazione”), incrementando al contempo la riforestazione e l’afforestamento a grande scala ovunque fossero possibili. Sebbene le terre disponibili siano limitate nelle varie regioni, si può ottenere, con queste soluzioni di tipo naturale a favore del clima, fino a un terzo della riduzione delle emissioni richiesta dall’accordo di Parigi entro il 2030 (con un riscaldamento limitato a 2°C) (Griscom et al. 2017).

Cibo
Mangiare prevalentemente alimenti di origine vegetale e ridurre contemporaneamente il consumo globale di prodotti animali (figura 1c−d), specialmente da bestiame ruminante (Ripple et al. 2014), può migliorare la salute umana e dare un contributo rilevante alla diminuzione delle emissioni di GS (incluso il metano, di cui s’è detto al punto degli Inquinanti di breve durata). Inoltre, questo renderebbe i terreni, che sono coltivati a mangime per il bestiame, disponibili per essere coltivati con piante per l’alimentazione umana, e allo stesso tempo liberando alcuni terreni da pascolo per le soluzioni di tipo naturale a favore del clima (vedi la sezione Natura). Sono di vitale importanza quelle pratiche di coltivazione come il dissodamento ridotto al minimo, che accresce l’assorbimento di carbonio nel terreno. Infine bisogna ridurre drasticamente l’enorme quantità di scarti alimentari in tutto il mondo.

Economia
L’eccessiva estrazione di materiali e l’enorme sfruttamento degli ecosistemi, indotti dalla crescita economica, devono essere rapidamente ridimensionati per assicurare la sopravvivenza a lungo termine della biosfera. Abbiamo bisogno di un’economia senza-carbonio che tenga conto espressamente della dipendenza umana dalla biosfera e di politiche che guidino le decisioni economiche conseguentemente. Abbiamo bisogno di spostare i nostri obiettivi dalla crescita del PIL e dall’inseguimento della ricchezza alla protezione degli ecosistemi e al miglioramento del benessere umano, dando la priorità ai bisogni fondamentali e riducendo le disuguaglianze.

Popolazione
La popolazione mondiale, che tuttora cresce di circa 80 milioni di individui all’anno, cioè più di 200 mila al giorno (figura 1a−b), deve essere stabilizzata –e, idealmente, ridotta con gradualità– entro un quadro normativo che assicuri l’integrità sociale. Esistono politiche collaudate ed efficaci che rafforzano i diritti umani, diminuendo al contempo i tassi di fertilità e riducendo l’impatto della crescita demografica sulle emissioni di GS e sulla perdita di biodiversità. Queste politiche mettono a disposizione di tutti i cittadini servizi di pianificazione familiare, rimuovono le barriere al loro accesso e realizzano una piena eguaglianza di genere, inclusa l’istruzione primaria e secondaria su base universale, in special modo per le ragazze e le giovani donne (Bongaarts and O’Neill 2018).

Conclusioni
Il rendere meno severo il cambiamento climatico e l’adattamento a esso, nel rispetto della diversità degli esseri umani, comporta grandi trasformazioni nei modi in cui la nostra società globale funziona e interagisce con gli ecosistemi naturali. Siamo incoraggiati dalla recente ondata d’attenzione. Organismi governativi fanno dichiarazioni di emergenza climatica. Gli studenti scioperano. Nei tribunali vengono discusse cause di disastro ambientale. Movimenti locali di cittadini richiedono cambiamenti e molte nazioni, regioni e province, municipalità e aziende rispondono.

Come Alliance of World Scientists, siamo pronti ad assistere i decisori politici in una transizione giusta verso un futuro sostenibile ed equo. Sollecitiamo un ampio e diffuso utilizzo degli indicatori vitali, che meglio consentiranno ai politici, ai privati e al pubblico di comprendere la portata della crisi in corso, di monitorare i progressi e di ricalibrare le priorità per mitigare il cambiamento climatico. La buona notizia è che le trasformazioni di cui parliamo, che prevedono giustizia sociale ed economica per tutti, promettono di produrre un benessere umano molto maggiore di quello cui siamo abituati. Crediamo che le prospettive siano eccellenti se i politici e l’intera umanità prontamente risponderanno a quest’allarme di emergenza climatica e agiranno per proteggere la vita sul pianeta Terra, la nostra sola casa.


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2) Ed ecco un aggiornamento molto importante:
      W.J. Ripple, C. Wolf, T.M. Newsome, J.W. Gregg, T.M. Lenton, I. Palomo, J.A.J. Eikelboom, B.E. Law, S. Huq, P.B. Duffy e J. Rockström
(Oxford Univ. Press, Bioscience, 28 luglio 2021) -
      “Allarme di Emergenza Climatica da Scienziati di tutto il mondo - 2021”

Questo è il file PDF con la traduzione in italiano della parte principale dell’articolo e le 2 figure (aggiornate al 2021). Ai fini della rapidità di pubblicazione, non è stato tradotto il File complementare S2, allegato all’articolo: questo è il File originale in inglese. L’allegato S1 contiene l’elenco delle firme e non ha particolare rilevanza, lo si può comunque trovare su BioScience/Oxford Academic, in appendice all’articolo originale.
      (La traduzione è a cura di Paolo Scudellaro e Alberto Clarizia)

Pubblichiamo qui sotto le 2 figure che sono la parte essenziale dell’aggiornamento.



Figura 1

Figura 1. Serie temporali relative ad alcune attività umane (valori globali) correlate con il cambiamento climatico. L’asse orizzontale degli anni è in basso a tutto. Le etichette sull’asse x corrispondono ai punti di mezzo degli anni. Nei riquadri (a), (d), (e), (i), ed (m), i punti più recenti sono proiezioni o basati su stime preliminari (vedi il materiale supplementare); nel riquadro (f), la perdita di copertura arborea non tiene conto di riforestazioni o afforestazioni e include perdite dovute a qualsiasi causa. Con l’eccezione del riquadro (p), i dati ottenuti dopo la pubblicazione di Ripple e colleghi (2020) sono mostrati in rosso. Quanto al riquadro (h), l’energia idroelettrica e quella nucleare sono mostrate nella figura S1 (nel file complementare Allegato S2). Fonti e ulteriori dettagli relativi a ciascuna variabile sono forniti nel materiale supplementare contenuto nell’allegato S2. Le serie temporali complete sono mostrate nella figura S2 dello stesso allegato.



Figura 2

Figura 2. Serie temporali di risposte ambientali o impatti correlati con il cambiamento climatico. I dati ottenuti prima e dopo la pubblicazione dell’articolo di Ripple e colleghi (2020) sono mostrati in grigio e rosso rispettivamente. Per le variabili con una variabilità piuttosto alta, sono mostrate in nero le curve medie di regressione locale. Le variabili sono state misurate a varie frequenze (e.g., annuale, mensile, settimanale). Le etichette sull’asse x corrispondono ai punti di mezzo degli anni. Fonti e ulteriori dettagli relativi a ciascuna variabile sono forniti nel materiale supplementare contenuto nell’allegato S2. Le serie temporali complete sono mostrate nella figura S2.


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3) A proposito di due delle sei strategie suggerite dall’articolo di Ripple et al. (2019), e cioè Natura e Cibo, è molto utile avere almeno un’idea di quanto viene proposto da molti ecologisti come possibile azione concreta e positiva per contrastare la catastrofe climatica: l’introduzione dovunque sia possibile o il rafforzamento di un’agricoltura basata sulla biodiversità.

Qui di seguito trovate un breve articolo dell’attivista ed ecologista indiana Vandana Shiva, pubblicato sul supplemento Extra Terrestre - Speciale (de il manifesto), dicembre 2019:

      La “Gaia” terra, madre di tutte le grandi battaglie

Si può anche scaricare il relativo file PDF.



La Terra è un organismo vivente ed è creatrice di vita. Nel corso di 4 miliardi di anni la Terra ha sviluppato una ricca biodiversità –un’abbondanza di diversi organismi viventi ed ecosistemi– in grado di soddisfare tutte le nostre esigenze e favorire la vita.

La biodiversità e le funzioni viventi della biosfera sono sistemi attraverso i quali la Terra regola la propria temperatura e il proprio clima. Grazie ad essi si sono create le condizioni per l’evoluzione della nostra specie. Questa è la conclusione a cui sono giunti lo scienziato James Lovelock e la biologa Lynn Margulis, che stava studiando i processi attraverso i quali gli organismi viventi producono e rimuovono i gas dall’atmosfera: “La Terra è un organismo vivente in grado di autoregolarsi e crea le condizioni per mantenere ed evolvere la vita”.

L’ipotesi di “Gaia”, nata negli anni ‘70, ha rappresentato il risveglio della comunità scientifica alla visione della Terra come organismo vivente.

La Terra ha fossilizzato parte del carbonio “vivo” presente sul pianeta e lo ha trasformato in carbonio inerte, stoccandolo nel sottosuolo, dove avremmo dovuto lasciarlo.

Tutto il carbone, il petrolio e il gas naturale che stiamo bruciando ed estraendo per gestire la nostra economia si sono formati nel corso di 600 milioni di anni. Ogni anno vengono bruciati milioni di anni di lavoro della natura. In questo modo il naturale ciclo del carbonio è stato compromesso.

Sono bastati un paio di secoli, nei quali la nostra civiltà si è basata sull’utilizzo dei combustibili fossili, per mettere a rischio la nostra stessa sopravvivenza, insieme ai fenomeni correlati a questa scelta, come la compromissione del ciclo del carbonio, lo sconvolgimento dei principali sistemi climatici e della capacità di autoregolamentazione della terra, la progressiva estinzione di diverse specie, ad un ritmo 1000 volte superiore a quello normale. La connessione tra biodiversità e cambiamento climatico è molto stretta.

L’estinzione è una certezza se continuiamo un po’ più a lungo sulla via dei combustibili fossili. Il passaggio a una civiltà basata sulla biodiversità è ora un imperativo di sopravvivenza. Prendiamo l’esempio dei sistemi alimentari e agricoli. Sulla Terra ci sono circa 300.000 specie di piante commestibili, ma la comunità umana globale contemporanea ne consuma solo 200. E, secondo il New Scientist, “la metà delle nostre proteine e calorie di origine vegetale proviene da tre sole piante: mais, riso e grano”. Nel frattempo, solo il 10% della soia coltivata viene utilizzata come alimento per l’uomo. Il resto è destinato alla produzione di biocarburanti e di mangimi per animali.

Il nostro sistema agricolo non è innanzitutto un sistema alimentare, è un sistema industriale e non è sostenibile.

Le foreste pluviali amazzoniche ospitano il 10 per cento della biodiversità terrestre. Ora, queste ricche foreste vengono incendiate per l’espansione delle colture di soia Ogm.

Il recente rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change – Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici) sull’utilizzo dei territori e il clima evidenzia come il problema climatico inizi con gli impatti sui territori.

Ci è stato più volte detto che le monocolture basate su apporti intensivi di fertilizzanti sintetici, pesticidi ed erbicidi sono necessarie per nutrire il mondo.

Utilizzando il 75 per cento del totale dei terreni agricoli, l’agricoltura industriale basata su monocolture ad alta intensità di combustibili fossili e ad alta intensità chimica produce solo il 30 per cento del cibo che mangiamo, mentre le piccole aziende agricole, che ne utilizzano il 25 percento, forniscono il 70 per cento del cibo. L’agricoltura industriale è responsabile del 75% della distruzione del suolo, dell’acqua e della biodiversità del pianeta. A questo ritmo, se la quota dell’agricoltura industriale basata sui combustibili fossili e del cibo industriale nella nostra dieta aumentasse di un 40%, avremmo un pianeta morto, dove non ci sarebbe né vita né cibo.

Oltre all’anidride carbonica emessa direttamente dall’agricoltura basata sui combustibili fossili, abbiamo il protossido di azoto, che viene emesso dai fertilizzanti azotati (anche questi derivati dal petrolio), ed anche il metano, che viene emesso dagli allevamenti agricoli e dagli scarti alimentari. La produzione di fertilizzanti sintetici è un processo ad alta intensità energetica. Un chilogrammo di fertilizzante azotato richiede l’equivalente energetico di 2 litri di diesel. L’energia utilizzata durante la produzione di fertilizzanti nel 2000 era equivalente a 191 miliardi di litri di diesel e si prevede che salirà a 277 miliardi nel 2030. Questo è uno dei principali fattori che contribuiscono al cambiamento climatico, ma ampiamente ignorato. Un chilogrammo di fertilizzante fosfato richiede mezzo litro di diesel.

Il protossido di azoto è 300 volte più dannoso per il clima dell’anidride carbonica. I fertilizzanti azotati stanno destabilizzando il clima, creando zone morte negli oceani e desertificando i suoli. Nel contesto planetario, l’erosione della biodiversità e la trasgressione del limite dell’azoto sono crisi molto gravi, anche se spesso trascurate.

Così, rigenerare il pianeta attraverso processi ecologici basati sulla biodiversità è diventato un imperativo di sopravvivenza per la specie umana e per tutti gli esseri viventi. Al centro della transizione è il passaggio dai combustibili fossili e dal carbonio inerte, a processi viventi basati sul crescere e riciclare il carbonio vivo rinnovato e cresciuto come biodiversità.

L’agricoltura biologica –lavorando in armonia con la natura– cattura l’anidride carbonica in eccesso dall’atmosfera (a cui non appartiene), e la ricolloca nel suolo (a cui appartiene), attraverso la fotosintesi. Essa aumenta inoltre la capacità di ritenzione idrica del suolo, contribuendo alla resilienza in tempi in cui fenomeni climatici estremi come la siccità e le inondazioni sono sempre più frequenti. L’agricoltura biologica ha il potenziale di sequestrare 52 gigatons di anidride carbonica in un anno, equivalente alla quantità necessaria per mantenere il carbonio atmosferico al di sotto delle 350 parti per milione, e fermare l’aumento medio della temperatura al di sotto dei 2 gradi centigradi. Possiamo colmare il divario tra il livello di emissioni attuale ed un livello accettabile attraverso un’agricoltura ecologica ad alta intensità di biodiversità, lavorando con la natura.

E più biodiversità e biomassa coltiviamo e incentiviamo, più le piante sequestrano carbonio e azoto dall’atmosfera, riducendo sia le emissioni sia le sostanze inquinanti nell’aria. Il carbonio viene così restituito al suolo attraverso le piante.

Più biodiversità e biomassa coltiviamo e incentiviamo nelle foreste e nelle fattorie, maggiore sarà la quantità di materia organica che restituiamo al suolo. Così facendo invertiamo la tendenza verso la desertificazione, che è già una delle cause principali dell’abbandono forzato delle proprie terre da parte di intere popolazioni e di conseguenza dei flussi dei rifugiati dall’Africa sub-sahariana e dal Medio Oriente.

L’agricoltura basata sulla biodiversità non è solo una soluzione alla crisi climatica, ma anche alla fame. Oggi nel mondo circa 1miliardo di persone soffre costantemente la fame. I sistemi alimentari basati sull’intensificazione della biodiversità, liberi da sostanze chimiche di sintesi e derivati del petrolio producono più “nutrizione per acro” e sono in grado di nutrire un maggior numero di persone utilizzando meno terra.

Per riparare il ciclo del carbonio che è stato spezzato, dobbiamo ricominciare dai semi, dal suolo e dal sole per incrementare il carbonio vivo nelle piante e nel suolo. Dobbiamo ricordare che mentre il carbonio vivo dà vita, il carbonio fossile “morto” sta invece perturbando i processi naturali. Con cura e coscienza possiamo aumentare il carbonio vivo su questo pianeta e aumentare il benessere di tutti. D’altra parte, più sfruttiamo e usiamo il carbonio fossile, e più inquinamento creiamo, meno ne avremo per il futuro. Il carbonio fossile deve essere lasciato nel sottosuolo. Si tratta di un obbligo etico e di un imperativo ecologico.

Ecco perché il termine “decarbonizzazione”, che non distingue tra carbonio vivo e carbonio morto, è scientificamente ed ecologicamente inappropriato. Se decarbonizzassimo l’economia, non avremmo piante, che sono carbonio vivo. Non avremmo vita sulla terra, che crea ed è sostenuta dal carbonio vivo. Un pianeta decarbonizzato sarebbe un pianeta morto.

Abbiamo bisogno di ricarbonizzare il mondo con la biodiversità e il carbonio vivo. Dobbiamo lasciare il carbonio morto nel sottosuolo. Dobbiamo passare dal petrolio al suolo. Dobbiamo passare con urgenza da un sistema basato sui combustibili fossili a una civiltà ecologica basata sulla biodiversità. Possiamo così iniziare a coltivare i semi della speranza, i semi del futuro.

Vandana Shiva*

*attivista politica e ambientalista indiana, si batte contro il paradigma produttivista dell’agricoltura e dell’alimentazione; è tra i leader mondiali dell’ecologismo radicale.


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4) Questo film, che è circolato nel 1995 soltanto nella rete dei Goethe Institut in Italia (in versione originale e in cassetta VHS), è stato tradotto e riedito, in maniera amatoriale, in questa versione italiana e poi presentato in varie occasioni a studenti, attivisti e cittadini, nel corso di una decina di anni a partire dal 1995 (e dal 2001, a nome del comitato “Scienziate e Scienziati contro la guerra”). Il lavoro di traduzione fu reso possibile con il prezioso contributo di Christel Rink.
Ancora oggi, colpisce come il regista Joachim Faulstich abbia saputo creare, con mezzi che ora ci appaiono rudimentali, un congegno che funziona piuttosto bene ed è incredibilmente e amaramente profetico. Il film si basa su previsioni e dati scientifici disponibili alla data del maggio 1994 (!) e si avvale della consulenza scientifica di cinque esperti di Istituti ed Università di Amburgo, Münster, Potsdam, Heidelberg e Kiel (citati nei titoli di coda).
Guardatelo e scaricatelo, perché ancora oggi può essere importante che venga utilizzato dal maggior numero possibile di persone, come ad esempio le ragazze e i ragazzi di Fridays for Future. Questo è il File MP4 per il downloading.


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5) Una nuova e pericolosa strategia è stata messa in campo da quanti hanno interesse a contrastare la diffusione della consapevolezza della emergenza climatica. Nei decenni passati venivano alimentate narrazioni di pseudo-scienziati “scettici” e voci di bilancio di grosse aziende nel campo dell’estrazione di combustibili fossili erano dedicate, in maniera più o meno esplicita, a garantire finanziamenti a singoli o a gruppi di... operatori della comunicazione che si muovevano in un ambito che fu detto “negazionista”. Questo termine ha cominciato a dare fastidio, ad essere connotato troppo sfavorevolmente. E allora, quale è stata l’idea?
Leggete questa interessante inchiesta condotta dalla brava giornalista Stella Levantesi e da Giulio Corsi per la rivista americana “The New Republic”, pubblicata poi da Internazionale in Italia l’8 settembre 2020:
      Il “realismo” climatico è il nuovo negazionismo.
Questo è il File PDF dell’articolo che mi fu segnalato da Paolo Scudellaro. Nell’articolo si parla di un think tank conservatore fondato nel 1984 in Illinois, “The Heartland Institute”, che opera intensamente con campagne di lobbying per una maggiore libertà di mercato (famosa la sua campagna di disinformazione contro le limitazioni al fumo, sostenuta economicamente dalla Philip Morris). Uno studio condotto da Greenpeace indica che la sola ExxonMobil ha finanziato l’istituto con almeno 650 mila dollari dal 1998. Può essere interessante dare un’occhiata al sito di questo istituto e ad altri siti-web creati appositamente per fermare il Socialismo, per riconsiderare il cambiamento climatico e per promuovere il nuovo Realismo Climatico. Leggete qual è lo scopo di quest’ultimo sito-web, posizionato opportunamente nel piè di pagina (footer):

“L’industria dell’allarmismo climatico e i mezzi di comunicazione suoi alleati producono giornalmente una raffica di informazioni false, fuorvianti e unilaterali costruite allo scopo di convincere le persone che una crisi climatica sia alle porte. Il Realismo climatico offre giornalmente obiezioni all’Allucinazione Climatica degli allarmisti, permettendo ai mezzi di comunicazione e alle persone interessate di avere accesso a fatti, dati e idee che riportano le paure d’ogni giorno dei media nella giusta prospettiva.”


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6) Questo che segue è il video di un incontro che si è svolto a Milano, al Piccolo Teatro, il 21 luglio 2021, con Stefano Mancuso, botanico e neurobiologo delle piante, il quale dopo anni di lavoro su quella che in sintesi si può chiamare l’intelligenza delle piante si è unito con un discorso più complessivo alle migliaia di persone nel mondo, soprattutto giovanissimi, che promuovono con entusiasmo e qualche ingenuità le campagne 1 trillion trees o Plant for the planet. L’incontro è stato organizzato da “La casa d’argilla”, un’associazione culturale e teatrale con sede a Roma (che di recente ha prodotto uno spettacolo molto bello, When the Rain Stops Falling di Andrew Bovell). Mancuso, che insegna all’Università di Firenze, ha il dono di essere molto chiaro ed empatico, qui parla per circa un’ora, ma lo si ascolta tutto d’un fiato.

Questo è il File MP4 per il downloading.

Il dibattito a livello scientifico su quello che si presenta come uno dei possibili e promettenti strumenti per combattere il riscaldamento globale, è in realtà molto acceso e articolato. Qui sarebbe impossibile sintetizzare in poche e semplici parole tutte le questioni che rendono più complesso e difficile da mettere in pratica l’intervento da parte dei paesi del mondo, che Mancuso nel suo discorso semplifica al massimo. L’organizzazione no-profit TED ci viene in aiuto con un breve video di animazione. Di questo video è autore Jean-François Bastin, membro del Crowther Lab di Zurigo (protagonista della ricerca scientifica in questo campo); il video riassume con chiarezza lo stato delle conoscenze all’ottobre del 2020 e la complessità dell’azione di mettere a dimora “1000 miliardi di alberi”:


Regia: Lobster Studio; voce narrante: Addison Anderson; musica: Fabrizio Martini. Il testo originale è stato tradotto da Chiara Polesinanti e Sara Frasconi, eccolo:

Con i suoi 84 metri di altezza, questo è il più grande albero vivente del pianeta. Soprannominata Generale Sherman, questa sequoia gigante ha sequestrato 1.400 tonnellate di carbonio atmosferico nell’arco dei suoi 2.500 anni di vita sulla Terra. Sono pochissimi gli alberi in grado di competere con questo impatto carbonico. E oggi l’uomo produce più di 1.400 tonnellate di carbonio al minuto. Per combattere il cambiamento climatico, dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni da combustibili fossili e diminuire l’eccesso di CO2 per ripristinare il bilanciamento dei gas serra nell’atmosfera. Ma come possono gli alberi aiutarci in questa lotta? E in che modo sequestrano il carbonio, innanzitutto?

Come tutte le piante, gli alberi consumano carbonio atmosferico tramite una reazione chimica che si chiama fotosintesi. Questo processo usa l’energia del sole per trasformare acqua e anidride carbonica in ossigeno e scorte di energia sotto forma di carboidrati. Le piante, in seguito, consumano questi carboidrati in un processo inverso, la respirazione, che li converte in energia, rilasciando il carbonio nuovamente nell’atmosfera. Negli alberi, però, gran parte di quel carbonio non viene rilasciata, ma viene immagazzinata sotto forma di nuovo tessuto legnoso. Nell’arco della loro vita, gli alberi si comportano come casseforti di carbonio continuando a consumare carbonio fin tanto che crescono. Ma quando un albero muore e si decompone, una parte di questo carbonio viene rilasciata di nuovo nell’aria. Una parte significativa di CO2 viene immagazzinata nel suolo, dove può rimanere per migliaia di anni. Ma alla fine, anche da qui il carbonio filtrerà di nuovo nell’atmosfera.

Quindi gli alberi, per poterci aiutare nella lunga lotta al cambiamento climatico, devono vivere il più a lungo possibile per sequestrare il carbonio ma anche riprodursi velocemente. Esistono alberi da poter piantare che soddisfino questi criteri? Delle specie che crescano velocemente, vivano a lungo e sequestrino tantissimo da poter disseminare in tutto il mondo? Non che noi sappiamo. Ma anche se esistessero alberi del genere alla lunga non sarebbero una buona soluzione. Le foreste sono dei sistemi complessi di organismi viventi, e non esiste una specie in grado di crescere bene in tutti gli ecosistemi. Gli alberi più ecosostenibili da piantare sono sempre quelli autoctoni, specie che hanno già un proprio ruolo nell'ambiente in cui vivono. Ricerche preliminari mostrano che gli ecosistemi naturali con un’ampia diversità di alberi mostrano una minore competizione per le risorse e una maggiore resistenza ai cambiamenti climatici. Quindi non basta piantare alberi per ridurre il carbonio; bisogna ripristinare gli ecosistemi impoveriti.

Sono molte le zone deforestate o sviluppate che hanno bisogno di essere risanate. Nel 2019, uno studio condotto dal Crowtherlab di Zurigo ha analizzato le immagini satellitari dell’attuale copertura mondiale di alberi. Combinandole con i dati sul clima e sul suolo ed escludendo le aree indispensabili per le necessità dell’uomo, hanno determinato che la Terra potrebbe sostenere circa un miliardo di foreste in più. Si tratta di circa 1,2 migliaia di miliardi di alberi. Questo numero sbalorditivo ha sorpreso la comunità scientifica, incoraggiando ulteriori ricerche. Ora gli scienziati citano una cifra più prudente, ma lo stesso considerevole. Secondo le stime rivedute, questi ecosistemi ripristinati potrebbero catturare dai 100 ai 200 miliardi di tonnellate di carbonio, corrispondenti a oltre un sesto delle emissioni di carbonio dell’uomo.

Più di metà della copertura forestale potenzialmente adatta al ripristino si trova in soli sei Paesi. Lo studio può anche fornire informazioni sui progetti di ripristino esistenti, come la Bonn Challenge, che mira a ripristinare 350 milioni di ettari di foreste entro il 2030.

Ma è qui che la cosa diventa complicata. Gli ecosistemi sono incredibilmente complessi, e non è chiaro se l’intervento umano li ripristinerebbe al meglio. È possibile che in certe aree la cosa giusta da fare sia semplicemente lasciarli stare. Inoltre, alcuni ricercatori temono che ripristinare le foreste su questa scala potrebbe avere conseguenze indesiderate, come la produzione di sostanze biochimiche naturali a un ritmo tale da accelerare in realtà il cambiamento climatico. E se anche riuscissimo a ripristinare queste aree con successo, le generazioni future dovrebbero proteggerle da quelle forze naturali ed economiche che le avevano prima impoverite.

Nell’insieme, queste sfide hanno compromesso la fiducia nei progetti di ripristino a livello mondiale. E la complessità della ricostruzione degli ecosistemi dimostra quanto sia importante proteggere le foreste già esistenti. Ma se tutto va bene, ripristinare alcune di queste regioni impoverite ci darà i dati e la sicurezza necessari a combattere il cambiamento climatico su una scala più ampia. Se facciamo bene le cose, forse gli alberi di oggi avranno tempo per trasformarsi in imponenti riserve di carbonio.


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